Dettori G.- CANTO PER UN CAPRO
Codice articolo  2512
 
   
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Dettagli del prodotto
 
  ISBN: 
 179957181 
 
  Editore: 
 LA SALAMANDRA 
 
Giovanni Dettori
 
 CANTO PER UN CAPRO
 
 «Vi era un uomo / nella mia stirpe / ed aveva perduto un figlio / degno d’essere pianto, / l’unico della sua casa. / Eppure il suo dolore / valse a sopportare, / solo ormai e senza prole, / degli anni giunto alla china, / quando i capelli si fanno bianchi / e della vita già innanzi».
 
 La morte di cui parla il Coro dell’Alcesti nel consolare Admeto è la stessa evocata nei versi di questo poema. La poesia è la trasfigurazione catartica dell’esperienza del male mondano nella lucidità dolorosa di una mêlée thanatou, di un meditatio mortis che non è rassegnazione, ma domanda pietosa e incessante sul senso stesso della tragedia.
 
 «Quale intesa / tra la vittima e il coltello / quale vortice attrae il salto oscuro quale / espiazione per l’animale ucciso».
 
 Se molto spesso l’arte «ha a che fare» col sacrificio di sangue, nel caso della poesia di Giovanni Dettori – segnata da una distanza tra opera ed autore ampiamente inferiore a quella di sicurezza – ci troviamo di continuo sull’orlo di un gesto sacrificale consumato per così dire a scena aperta.
 
 Lo spazio e il tempo si sono chiusi su di lui nel luogo e nell’istante della morte dell’innocente. È da allora, spinto da una fedeltà-rimorso rispetto a cui non ha difese e che lo rende insofferente verso quanto possa distoglierlo dall’estremo e dal definitivo, egli non può far altro che riassumere in sé, in un gioco di apparenze indiscricabili, i ruoli del boia e della vittima – secondo una misura artistica e biografica che non ammette valutazioni eteronome.
 
 Eppure la paurosa evocazione del carpo morto e nel contempo invocazione tepidia. Solo che, nell’irrimediabile assenza degli dèi, mentre affonda e affiora in estenuanti corpo a corpo coi demoni, c’è la parola stessa, disciolta da pretese apotropaiche, a diventare, ad essere divina – a rendere simili, come nella preghiera dei chassidim, «non al supplicante a cui il re fa porgere ciò che ha chiesto, ma al figlio del re che prende dai tesori del padre ciò che desidera»...
 
 Ed è forse questo l’inaudito scandalo che deve essere infinitamente espiato.
I-CAMPI-MAGNETICI
pp. 192
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